Le navi volanti

"Questo sarà il tempo che farà di te il principe che non sapevi di essere". Un racconto di Davide B. 1D

di Davide B.

La nave prese quota lentamente, quasi impercettibilmente, prima seguendo una rotta verticale e poi inclinandosi con dolcezza e discrezione verso l’orizzonte. Le vele spiegate al vento, la prua orgogliosa, il comandante fiero, l’equipaggio schierato lungo i parabordi, le mani tese, i saluti, le lacrime e le speranze nei saluti.

Il ragazzo non aveva nessuno da salutare, non conosceva quelli che stavano partendo, non aveva il ritorno di qualcuno da aspettare con timore. Il ragazzo era lì solo per la nave. Quando la vide allontanarsi, i suoi occhi si riempirono di lacrime commosse, e, come sempre gli accadeva da che aveva memoria, pensò: un giorno partirò anche io con la nave volante, prima o poi avrò l’età giusta per farlo, prima o poi accadrà.

Per il ragazzo, non esisteva desiderio più grande. E i giorni passarono…passarono…e continuamente il ragazzo non aveva altro pensiero che uscire da quel suo ristretto mondo. Gli piaceva molto la sua isola ma il desiderio di partire ardeva, e ogni giorno era sempre più grande.

E la nave tornò.

L’equipaggio ormeggiò il grande vascello e scese a terra, le facce serie, invecchiate. Gli occhi profondi. Mancava un ragazzo all’appello. Al porto non si parlava di altro, ma nessuno sembrava particolarmente triste. Al suo posto, era arrivata una principessa. La sua era una bellezza che non si era mai vista da quelle parti, per descrivere la quale il ragazzo non avrebbe saputo trovare le parole. Il ragazzo, dopo aver ammirato con stupore l’imponente nave ormai deposta nel suo nido, tornò a casa a passi lenti mentre pensava a cosa potesse essere accaduto nel viaggio di quelle persone tornate con un compagno in meno, ma comunque dall’aria non triste, e una principessa in più. La mattina dopo si svegliò di buon’ora e senza nemmeno fare colazione, si precipitò al porto. La nave volante era ancora lì, ormeggiata con pesanti funi di corda, fluttuante, enorme e meravigliosa. Il ragazzo raggiunse l’ufficio del capitano. Fece un grande respiro, e bussò. L’uomo che si trovò davanti era robusto, molto alto, e piuttosto bizzarro. Non aveva l’aria cattiva, nè amichevole. Tutto, nel suo aspetto, incuteva timore ed esigeva rispetto. “Voglio arruolarmi per il prossimo volo! Lo voglio da sempre. Ho l’età giusta. La prego, mi dia una possibilità”. Il ragazzo aveva parlato senza mai riprendere fiato, a voce troppo alta, e con gli occhi chiusi.

Il capitano restò a fissarlo per qualche secondo. In silenzio. “Ma certo”, disse. E sorrise.

Il ragazzo sentì nascere nel suo cuore una gioia mai provata prima. “Grazie”, sussurrò, con la voce rotta dall’emozione. E si voltò per uscire. Era ormai prossimo alla porta quando il capitano disse: “Naturalmente conosci la regola principale”. Il ragazzo si voltò, lentamente. “Ovviamente sto parlando del fatto che la destinazione del viaggio è ignota a chiunque salga sulla nave volante. La destinazione si scopre soltanto una volta giunti a destinazione”.

Il ragazzo rimase immobile, mentre assorbiva queste parole. Non aveva mai saputo di una cosa del genere, la sentiva in quel momento per la prima volta. Era importante?chiese a se stesso. No, non lo era. L’unica cosa che contava era prendere il volo, ovunque quel volo lo avesse condotto. E così il ragazzo tornò a casa. Stava ancora riflettendo sulle parole pronunciate del capitano, mentre preparava i pochi bagagli necessari alla partenza. Non c’era molto da mettere nella sacca, la nave volante esigeva leggerezza dal suo equipaggio. Un pensiero in particolare non lo abbandonava, e cioè la sorte toccata all’unico che non aveva fatto ritorno. Stava cercando di ritrovare il suo aspetto tra i suoi ricordi, quando bussarono alla porta.

Era la principessa. Il ragazzo non credeva ai suoi occhi. Che cosa poteva mai volere da lui una creatura così bella, irreale?

“Non posso trattenermi molto e non posso rispondere alle tue domande, quindi non farmene. Ascolta soltanto quello che ho da dirti. Se decidi davvero, domani, di partire con la nave volante, devi sapere che non sempre tutti fanno ritorno. E che anche quelli che tornano, non sono gli stessi che sono partiti”. Gli disse questo, guardandolo negli occhi, molto seriamente. E poi, così come era venuta, se ne andò, lasciando il ragazzo ancora più confuso e sbalordito. Ma anche in questa occasione, come poco prima nell’ufficio del Capitano, chiese a se stesso “questo è imporante per me?”. Non lo era. L’importante era solo partire. La mattina dopo, il sole era alto, l’aria fresca, il cielo terso. E il ragazzo era pronto.

La nave si issò, leggera, nel vento, verticalmente all’inizio e poi, via via, in diagonale, verso l’orizzonte, come accadeva ad ogni miracolosa partenza. I suoi compagni di viaggio si sporgevano oltre i parapetti, salutando, agitando mani, sventolando fazzoletti ricamati da chi gli voleva bene. Lui era l’unico a guardare dritto davanti a sè. Non aveva nessuno da salutare, e il cuore pieno di felicità. “Scopriremo la nostra destinazione solo una volta che l’avremo raggiunta. Lo sapete bene e mi aspetto che non facciate domande inutili a riguardo, a cui io non voglio e non posso rispondere. Ma l’obiettivo della nostra missione deve essere, al contrario, ben noto a chiunque sia a bordo. E l’obiettivo è questo e questo soltanto: riportare alla principessa approdata sulle nostre terre con il ritorno del precedente volo, il suo principe legittimo”. Nessuno commentò le parole del Capitano. I membri dell’equipaggio le lasciarono sedimentare nelle loro menti, il ragazzo le assaporò con gioia, pensando che mai avrebbe immaginato missione più meravigliosa e onorevole.

E giunse la prima notte, alla fine di una prima giornata di volo difficile, in cui avevano attraversato cumulonembi gonfi e minacciosi, turbolenze dispettose, correnti d’aria gelida, sferzanti come coltelli, e vuoti d’aria di nauseante violenza. Il ragazzo era riuscito ad ingoiare solo un pezzo di pane secco per cena, e ora sapeva di dover dormire, ma non ci riusciva. Provava e riprovava a chiudere gli occhi ma gli mancava l’aria. La cuccetta era angusta, buia, asfissiante. Decise di alzarsi e di andare sul ponte per una boccata d’aria, sperando di ritornarsene poi a letto rinfrescato e di riuscire così a dormire. Il prossimo giorno era alle porte e lui aveva bisogno di tutte le sue energie. Una volta sul ponte, a prua, il ragazzo fu investito dallo spettacolo più bello e stupefacente della sua vita. Mai il cielo era stato così vicino. Mai le stelle gli erano sembrate tanto prossime, luminose, strazianti. Il ragazzo era, letteralmente, nel cielo. Istintivamente, allungò una mano davanti a sè, verso una delle innumerevoli luci che gli brillavano intorno, quella che gli sembrava più vicina, e splendente. “Potrei quasi afferrarla”, pensò. E fu proprio ciò che accadde. La stella, quella stella, cadde sul ponte, a pochi metri da lui. Un piccolo nucleo di luce abbagliante e pulsante. Il ragazzo era sbalordito. Che cosa era successo? Non aveva davvero toccato la stella. Certamente non poteva averla staccata dal cielo, e gettata sulla prua della sua nave volante. Eppure era lì, a pochi passi da lui. Ed il ragazzo avanzò di quei pochi passi che li separavano. Si stava quasi accucciando verso la stella, che, ancora una volta, la voce familiare che ormai conosceva così bene, lo trattenne.

“Devi pensarci molto bene. Soltanto a pochi, pochissimi, è concesso l’onore di conquistare una stella. Devi essere una creatura molto speciale per farlo. Ma fai attenzione. Prendere una stella con sè è una responsabilità enorme e prima o poi chiederà il suo pegno. Sei certo di volerlo pagare?”. Il ragazzo si voltò verso il Capitano. Aveva già la stella tra le sue mani, e per nulla al mondo l’avrebbe mai lasciata. Da quel momento in poi la stella sarebbe stata riposta in una piccola, preziosa, sacca di cuoio che lui avrebbe portato al collo, senza mai toglierla. Avrebbe brillato di luce misteriosa, calda e nascosta, proprio lì, al suo interno, ben vicina al suo cuore. Questo era tutto quello che il ragazzo sapeva, ed era, per lui, l’unica cosa importante.

Passarono tre giorni ancora, prima di avvistare il Luogo. L’isola somigliava molto a quella da cui erano partiti, ma questa che si intravedeva tra le nuvole e i marosi, era disabitata. Non c’erano case, nè esseri umani, o animali. C’era solo il Castello, di fredda pietra grigia ed aspetto imponente. Ormeggiarono e scesero a terra, il Capitano in testa.

Per un’intera giornata, provarono e riprovarono, a mani nude, o con ogni attrezzo possibile, di ferro e di fuoco, con tutta la loro volontà. E fallirono, ad ogni tentativo. Il Castello appariva inespugnabile. Poco prima del calar delle tenebre, il Capitano disse: “Il portone di questo castello è speciale e sarà possibile aprirlo solo per mezzo di una creatura speciale. Ora, uomini, io vi chiedo: c’è qualcuno tra voi che pensa di essere quella creatura? In quel caso, lo esorto a trovare il coraggio di farsi avanti ora, prima dell’arrivo della notte”. Una creatura speciale. Il ragazzo ripensò a quando il Capitano si era riferito a lui con quelle stesse parole. Lui non aveva mai pensato di essere in alcun modo speciale. Se non, forse, nell’esercizio della sua volontà. A quel pensiero la piccola stella nella sacca prese a pulsare e ad emanare calore. E lui fece i passi necessari a raggiungere il portone, attraversando gli sguardi seri dei suoi compagni.

Gli fu sufficiente poggiare il palmo della mano sul ferro freddo del battente, perchè le serrature scattassero ed il portone si schiudesse lentamente. Il primo ad entrare fu il più impavido ed impulsivo dei membri dell’equipaggio, ma quando gli altri lo seguirono, a distanza di pochi passi, lui era sparito.  Ad accoglierli, soltanto un’ampia sala spoglia, umida, illuminata da flebili torce appese alle pareti perimetrali. A terra, al centro della sala, una grande pergamena. Il Capitano la raccolse e lesse ad alta voce  “prima di partire, questa porta dovrete riaprire. Prima di volare, un’ardua sfida dovrai affrontare”. Al che, il portone alle loro spalle si richiuse di colpo, e la sala piombò nell’oscurità.

I cuori di tutti, ormai, erano precipitati nel terrore. Dove era finito il loro compagno? Cosa li attendeva in quel Castello? Quali pericoli avrebbero dovuto affrontare? Draghi, forse? Fantasmi? Un esercito? Le torce si riaccesero, tornando ad illuminare la grande sala. Ed eccoli, davanti a loro, pericoli che mai avrebbero immaginato. Un enorme cane nero, grande quanto una delle piccole case del loro villaggio, che li osservava minaccioso, ringhiando, e sbavando dalle enormi fauci digrignate. E un gigante deforme, dall’aspetto dinoccolato e penoso, irsuto ed inquietante, simile a un troll. Il cane aveva, nascosto tra le pieghe del muso ferino, lo sguardo del compagno scomparso non appena entrato nel castello, ed il gigantesco troll aveva il volto del loro temuto e rispettato Capitano.

Che incubo era mai quello?  I ragazzi indietreggiarono di qualche passo prima di puntare il loro impaurito sguardo sul ragazzo speciale, in cerca di aiuto, di una guida. Il ragazzo, però, non aveva mai guidato nessuno in vita sua, eccetto se stesso, e su quello, la guida di sè, era sempre stato inflessibile. Pensò che anche in quell’assurda circostanza non aveva altro, se non la sua semplice inflessibilità. Li guardò uno ad uno, quei suoi compagni nuovi e già tanto intimi, e disse: “Siete con me? Io sono nell’attacco”. Loro risposero: “Siamo con te”.

Lui gridò: “All’attacco!”, con tutta la forza che sperava di possedere. La battaglia fu breve, come tutte le battaglie più feroci. E fu intensa, e senza speranza, come tutte le guerre. Morirono, in cinque. Il grosso orribile cane, l’orrendo e feroce troll, e tre membri dell’equipaggio. Fu un trionfo ma anche una sconfitta, una vittoria senza gioia. Quando anche l’ultima goccia di sangue si fu unita alle altre sul pavimento di pietra, la stanza piombò nell’oscurità, per la seconda volta in quella giornata, che pareva non finire mai. Fu solo un istante e la luce tornò. Con lei, la vista del ragazzo. Ed era solo. Non c’era nessuno su cui appuntare lo sguardo. Nè amici nè nemici. Soltanto lui, in una grande sala vuota e grigia che puzzava di ferro, e la sua paura. Vide una porta che prima non gli pareva di aver visto, sperò che anch’essa si aprisse al suo tocco con il palmo della mano ma niente, niente di niente. Allora si guardò intorno, alla ricerca di un’altra via di uscita, ma non ce n’erano. Però c’era una ripida e stretta scala a chiocciola, che si arrampicava lungo la torre maestra del castello. Il ragazzo sentiva di non avere alternative. Appena salì i primi scalini la stella iniziò a brillare sempre più forte, ed il suo calore aumentava  man mano che continuava a salire,  ma lui non se ne accorgeva e saliva e saliva.

Arrivò ad una piccola stanza spoglia. Era vuota ad eccezione di un grande trono regale al centro. Sul trono sedeva un principe. “Finalmente. Ben arrivato”, disse il principe. Il ragazzo taceva, il suo cuore in tumulto, la stella che brillava, tremava e scottava come non aveva mai fatto prima. Il principe proseguì: “Se tu sei pronto, io sono pronto”.

Il ragazzo tacque ancora. Allora il principe si alzò, lo raggiunse sulla soglia, dove si era fermato, e gli fece cenno in direzione del trono vuoto. Il ragazzo entrò nella stanza e si sedette, senza opporre la minima resistenza, come se a condurlo fosse il suo destino, invece del gesto di un estraneo. Il principe, allora, si tolse la corona, e la depose sul capo del ragazzo. “Non devi avere paura. Non sarà terribile, come potrebbe sembrare. Sarà interessante, e definitivo”.

Il ragazzo sentì il duro del metallo a cingergli le tempie. Guardò il volto del principe di fronte a lui. Non gli somigliava forse? Non aveva lo stesso suo colore dei capelli, e la medesima screziatura nelle iridi degli occhi vigili? Non era un’espressione, quella che gli riconosceva, che aveva già tante volte intravisto negli specchi che aveva incrociato? Non era proprio lui, era simile a lui. Era un se stesso invecchiato dal tempo, e ancora di più dalle esperienze. Era un sè che aveva vissuto delle avventure. Un eroe che aveva affrontato il suo viaggio.

“E adesso?”, sussurrò il ragazzo. “Adesso io tornerò dalla mia principessa, e tu dovrai darmi la tua, affinchè io possa portarla lontana, e tu possa desiderarla, fino a quando non torneranno a prenderti, per ricongiungervi, come è scritto, da sempre, nella storia dei mari, dei venti, delle isole, e della nave volante. Ed il ragazzo, per la prima volta, capì ogni cosa. Si sfilò la piccola sacca di cuoio dal collo, la aprì e prese nel palmo della sua mano la tremante, amata, stella. La guardò, la accostò alla sua guancia, e poi la diede al principe. Allora la stella si trasformò in una bellissima fanciulla, che somigliava moltissimo alla principessa che tempo prima era sbarcata con la nave volante, una versione più giovane di quella principessa, una versione fresca, inconsapevole, acerba e ingenua. Il ragazzo cercò di ricordare quante principesse c’erano state prima di lei, a sbarcare dalle navi volanti, e quanti principi, tempo dopo. Non se lo ricordava, non avrebbe saputo dirlo.

“Tutti i principi e le principesse si somigliano?”, chiese il ragazzo. “Dipende dai principi e dalle principesse. Ci sono innumerevoli modi di indossare la propria regalità, starà a voi scoprire quale stile vi si addice di più, e avrete tutto il tempo per scoprirlo. La nave tornerà solo quando tu e lei sarete pronti”. Al che la stella e il principe salutarono il giovane ragazzo. Solo poco prima di lasciare la sala, il principe aggiunse: “Questo sarà un anno dove non ti nutrirai di pane e acqua, ma di pensieri e di riflessione”.

E i due lasciarono la sala. E lo lasciarono solo. Il principe pensò: “Quindi questo sarà il tempo che farà di me il principe che non sapevo di essere”. Poi si alzò lasciò il trono e andò ad affacciarsi all’unica finestra che c’era. Non gli sembrò vero, c’erano tutti. Tutti i membri dell’equipaggio, anche quelli che credeva morti, c’erano anche il Capitano, il ragazzo che era scomparso e il principe e la principessa. Tutti lo salutavano, per la prima volta aveva ricevuto un saluto, ed era felice, tanto. Aspettò alla finestra che salissero a bordo, e che la nave salpasse. Rimase a guardarla, mentre raggiungeva l’orizzonte, si faceva piccola, nuvola tra le nuvole, e poi spariva.

Passò il tempo. Un giorno, al tramonto, la nave tornò. Il principe la vide farsi grande, man mano che raggiungeva l’isola. Si sedette sul trono, chiuse gli occhi, e aspettò. Arrivò ogni cosa, così come la ricordava. I colpi dei martelli e delle cornate degli arieti, tentativi inutili di spalancare il portone. Lo raggiunse la voce del Capitano, che credeva di aver dimenticato, ma no, era una voce cara e l’aveva custodita bene. Arrivarono le grida della battagia, il silenzio delle morti, i passi incerti lungo la ripida scala. Arrivò un giovane ragazzo, alla sua soglia. Gli somigliava? Difficile dirlo. Era così giovane, e pieno di incredulità. Stringeva al petto una piccola sacca di lino, che pulsava e brillava.

Lui disse le parole, e fu tutto. Prima di lasciarlo, mano nella mano con la principessa inconsapevole che un giorno sarebbe stata sua, e lui di lei, lo guardò con infinita tenerezza e gli disse: “Questo sarà il tempo che farà di te il principe che non sapevi di essere”.

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