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L’IMMENSITÀ DEL CIELO

Concorso Mini racconti 2022, complimenti alla nostra studentessa Damia (3D) per il quarto posto.

di Damia S.

Cosa si prova a volare? – Questa è la domanda alla quale cercavo di rispondere fin da bambina. La
domanda mi sorgeva ogni qualvolta un volatile passava sopra la finestra della mia camera, mi teneva
sveglia la notte nella speranza che uno di questi si fermasse a riposare incrociando lo sguardo col mio,
spiegandomi cosa si provasse a vedere il mondo diventare sempre più piccolo, sapendo di poter andare
ovunque l’occhio si possa posare.
Probabilmente se fossi nata in un posto diverso, con dei genitori diversi, ora lo saprei. Forse se fossi
cresciuta al cospetto del cielo, se il mio sguardo si fosse potuto estendere oltre le mura centenarie che
cingono questa città… forse il significato di confine non sarebbe tanto impresso nella mia anima…
Sono tante le parole il cui significato non sono mai riuscita a comprendere. I legami che non sono mai
riuscita a creare, quelli che lentamente ho fatto scivolare fuori dalla mia portata…
Forse se fossi stata una ragazza normale, coloro che si mostrano come i miei genitori non sarebbero stati
costretti a legarmi a loro col ferro.
Forse se la paura di “uscire” non mi angosciasse per la mia incapacità di andare…
Forse se non fossi nata in questo luogo…
Forse se fossi nata diversa…
Forse se incrociare il mio sguardo non significasse per gli altri rivedere gli occhi delle creature che da
generazioni uccidono i loro antenati e amici…
Forse se non mi comportassi come una di loro, se la mia risposta ad una provocazione non fosse sempre
attaccare in silenzio o se irritata non mi venisse naturale ringhiare come una figlia degli oltre-confine.
Forse se non fossi nata un mostro…
Il sole si infrangeva sul bordo delle mura con un riflesso rossastro. Poche le strutture che si ergevano più
alte, come impaurite di vedere cosa ci fosse oltre, di essere viste…perfino quest’edificio dall’imponenza
centenaria sbirciava i boschi e le montagne al di fuori con timorosa cautela.
In piedi sull’orlo del tetto di quest’alta scuola questa era la vita che mi passava davanti. Un errore dopo
l’altro, gli occhi di una ragazzina che non avevano incontrato altro che odio e lacrime, gli anni passati ad
osservare da lontano nella speranza di non essere vista, nella speranza che tornata a casa gli sbagli
commessi non si sommassero come colpi o calci sull’addome. Occhi di furente disgusto che seguivano ogni
mio movimento, che incrociavano i miei ogni qualvolta provassi anche solo ad avvicinarmi a qualcuno che
sarebbe dovuto essere un mio compagno. Non so quando persi la forza di guardare le nuvole, quando
cominciai a maledire il cielo, ma ora, con la coltre rocciosa di case che si tingono di mille diverse tonalità di
rosso, non mi pento di potermi concentrare un’ultima volta sui questi meravigliosi riflessi di luce.
Mi sarebbe piaciuto poter salutare un’ultima volta anche il cielo ma le ombre si allungano troppo
velocemente e una brezza preannuncia l’arrivo della notte.
Mi sarebbe piaciuto salutarlo, ma forse è meglio così. Forse è meglio che non mi veda, che possa lasciarmi
nell’oblio come tutti gli altri.
Una lacrima solitaria mi solca la guancia, ma la asciugo velocemente con la manica, ma in poco tempo è
madida.
Tanto a chi importerà quando finalmente anche io diventerò parte di questo tramonto di sangue?
Mi giro un’ultima volta verso il tetto. Non so cosa mi aspettassi di trovare, magari qualche ricordo, o chi mi
aspettassi di vedere. Ma chi mai sarebbe dovuto esser lì? Nessuno.
Men che meno lui, la mano ancora attaccata al pomello, con l’ombra della porta che lo copre.
Nycolas.
-Rune- la sua voce si incrina mentre i suoi occhi spalancati mi scrutano increduli come ad accertarsi di quel
che hanno di fronte sia la realtà.
-CHE STAI FACENDO!?-

˷ Mi ero sempre domandato cosa ci fosse dentro le mura. Gli umani le avevano costruite per salvarsi dai
muta forma, o oltre confine come li chiamavano loro. L’unica cosa certa era che io non possedevo le ali che
la mia famiglia mostrava con tanto orgoglio né ero capace di trasformarmi in una creatura della notte come
i miei compagni. Ma ero anche l’unico in grado di scoprire i motivi degli innumerevoli attacchi che i senza
luna avevano perpetrato negli ultimi mesi.
Certo non mi sarei aspettato questo accettando l’incarico.
Niente mi avrebbe mai potuto preparare ai volti scarni che mi osservavano dai vicoli spaventati, alle
opprimenti mura di ciottoli che cingevano la città, all’odore di tristezza che la seguiva come un marchio
indelebile.
Se solo lo avessi riconosciuto un po’ prima, sarebbe finita comunque così?
La scuola era buia, immobile, non mi sarei stupito di trovare qualche cacciatore appollaiato negli angoli
nell’attesa di far arrivare la preda a portata di zanne. Ma lei non sembra esserci. Un pensiero mi arriva
fugace per poi sparire altrettanto velocemente. Ogni stanza pare più angusta, più vuota di quella
precedente. La gola comincia a seccarsi e non riesco a deglutire. Ma la scuola è un deserto di legno.
Il tetto. Questa consapevolezza mi toglie il fiato.
Sperai che fosse lì per vedere il tramonto o sperai fosse lì per alla ricerca di aria. I corridoi si allungano
mentre corro per le scale.
Anche se so che così non era.
Apro la porta e lei è lì sul limite. Ed è come se il tempo si fosse fermato, solo noi due. Vorrei urlare,
prenderla, strattonarla via. I nostri sguardi si incrociano ed è come se ogni parola provenisse da una lingua
nuova alle mie labbra. –Rune- provo a deglutire senza successo, gli occhi fissi su di lei –CHE STAI
FACENDO!?- il silenzio si impossessa nuovamente dei nostri corpi. I suoi occhi color tramonto pieni di stelle
che le scivolano lentamente sulle guance. I mei pieni di lacrime che non sapevo di avere. –Perché?- mi
avvicino di qualche passo lasciando che la porta si chiuda alle mie spalle. –F-FERMO!- continuo ad
avvicinarmi. –TI PREGO!- la vedo indietreggiare e mi fermo. Il corpo accasciato mentre le lacrime
continuano a scendere incontrollabili, le spalle scosse da tremiti. E di nuovo vorrei aiutarla ma non mi
muovo, vorrei aiutarla ma non posso muovermi.
-Ti ricordi la prima volta che ci incontrammo!? – urlo con tutto il fiato che ho in corpo cercando di farle
girare il volto verso di me… cercando di farle dare le spalle alla fine. –QUANDO MI CHIEDESTI QUAL’E’
L’IMMENSITA’ DEL CIELO? –

– HAI INTENZIONE DI RINUNCIARE? – ho la vista annebbiata mentre faccio un passo in avanti, la mano verso
di lei, voglio solo che si allontani da quel precipizio, ma lei rimane immobile. –N-NON POSSO!- si gira di
scatto. Nel suo volto la triste rabbia di chi sa di essere impotente. Lascia cadere a terra il giacchetto. Due ali
cupe come le ombre si allargano con le loro piume martoriate. Ed io finalmente comprendo. Sorride, triste,
sbilanciandosi indietro. Mi lancio verso di lei. Eravamo nati nel posto sbagliato, nel momento sbagliato o
forse tra le persone sbagliate.
Le nostre mani si sfiorano senza toccarsi. E io rimango sulla dura roccia, la mano protesa mentre lei plana
verso la morte per un’ultima prima volta.
Non ho fatto in tempo.

Concorso e premiazione https://www.concorsiletterari.net/

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